Giovanna Marini
Giovanna Salviucci Marini è uno dei personaggi più complessi ed interessanti nel panorama musicale contemporaneo. La sua attività, fortemente eclettica, si alterna tra quella di compositrice, concertista, insegnante, etnomusicologa e tutti questi diversi aspetti si combinano e si intersecano fra loro continuamente offrendo un risultato del tutto nuovo ed originale.
Nata in una famiglia di musicisti si dedica fin da bambina allo studio classico della musica, ma, l’incontro con un gruppo di intellettuali (tra cui Pier Paolo Pasolini, Diego Carpitella, Italo Calvino, Gianni Bosio, Diego Carpitella) all’inizio degli anni Sessanta le cambierà la vita. Scopre così il canto sociale, la storia cantata orale, scopre l’esistenza un mondo musicale completamente diverso con proprie leggi e modalità un mondo che la affascina a tal punto da condizionare tutta la sua successiva attività musicale.
Nel 1963, su proposta di Roberto Leydi, entra a far parte del “Nuovo Canzoniere Italiano”. E’ questo un momento fondamentale per la sua carriera, qui, infatti, la conoscenza diretta con cantori popolari le dà la possibilità di apprendere moltissimo su questo mondo musicale appena scoperto: in particolare da Giovanna Daffini impara il tipo di emissione vocale e il repertorio e da Peppino Marotto l’arte del raccontare e dell’improvvisazione.
Così Giovanna Marini inizia a scrivere dei lunghi modi che chiama “Ballate”. Queste ballate diventano un momento di denuncia nei confronti di una società piena di contraddizioni e di ingiustizie, nonché un’occasione per raccontare o meglio ancora per ricordare e tramandare fatti di cronaca ed esperienze di vita; un’occasione per riflettere e commentare, anche con satira ironica e pungente quello che sta diventando la società contemporanea.
Queste ballate, ad un primo ascolto, appaiono molto diverse dalle ballate popolari, ma ne presentano in realtà alcune delle caratteristiche principali; si avrà così un risultato del tutto nuovo ed originale, frutto di una sapiente commistione tra colto e orale.
Intorno alla fine degli anni Sessanta, inizierà lei stessa a dedicarsi alla ricerca etnomusicologica raccogliendo un cospicuo numero di canti, ma soprattutto entrando ancora più in contatto con questo mondo, diverso ed affascinante, che vive e concepisce l’evento musicale secondo una logica del tutto estranea alla cultura classica.
A seguito delle sue ricerche, Giovanna Marini sente ancora più viva l’esigenza di salvaguardare e tramandare questo repertorio che rischia sempre più di essere dimenticato: non attraverso la registrazione e l’archiviazione, bensì tramite l’esecuzione di questi canti in pubblico e il loro insegnamento.
Luogo privilegiato per l’insegnamento diventa la neonata Scuola Popolare di Musica di Testaccio. Dunque qui, inizia ad affiancare alla sua attività di compositrice quella di insegnante, tenendo corsi in cui, attraverso un lavoro sull’uso della voce, si studiano e si mettono a confronto i modi contadini e quelli urbani.
La nascita della SPMT nel 1975, rappresenta dunque un altro momento fondamentale nella vita di Giovanna Marini. Partecipa alla fondazione di questa scuola in seguito all’incontro con un gruppo di musicisti che come lei hanno seguito percorsi non tradizionali (Bruno Tommaso, Martin Joseph, Giancarlo Schiaffini, Eugenio Colombo, Michele Iannaccone, …). Qui Giovanna Marini, oltre ad un luogo per le sue lezioni, trova finalmente dei musicisti con cui poter suonare ed inizia a scrivere esplicitamente per loro composizioni più complesse, come, ad esempio, “La grande madre impazzita”.
Durante tutto l’arco della vita ha scritto, e continua a scrivere, molte altre opere complesse come oratori e poemi sinfonici. Si possono ricordare: “Il regalo dell’imperatore” (1982), “Requiem – Cantata delle cinque stanze” (1986), “La dichiarazione dei diritti dell’uomo” (1989), “Concerto per Leopardi” (1997), …
Scrive inoltre anche molta musica per film e per il teatro collaborando con diversi registi.
Ma un vero punto di svolta per tutta la sua attività musicale sarà, nel 1976, la formazione del Quartetto Vocale. La formazione di questo gruppo le dà la possibilità di comporre in modo polifonico, o più correttamente “polivocale” così come aveva sempre immaginato e pensato le sue composizioni. Specificatamente per il Quartetto Vocale scrive molte “Cantate” in cui si possono trovare sia brani originali, sia brani ripresi dalla tradizione popolare e riadattati per il gruppo. Lo studio e l’affiatamento del Quartetto le dà la possibilità di scrivere brani sempre più difficili e acrobatici offrendo al pubblico sonorità del tutto nuove ed originali.
La scelta del quartetto vocale non è casuale ma il risultato di pensiero ben preciso: la voce umana rappresenta per l’artista uno strumento di inestimabile valore ancora tutto da scoprire e da studiare.
Caratteristica particolare di queste Cantate, e comunque di tutta la sua attività, è la presenza di lunghi interventi parlati in cui, ancora una volta l’autrice “racconta”.
Mai dunque abbandona il suo impegno politico e sociale e i testi di queste composizioni (sia parlate che cantate) continuano a parlarci della storia; non la storia “ufficiale”, ma quella privata, quella vissuta in prima persona dal popolo e da lei stessa, quella che spesso le autorità tentano di far dimenticare: ci parla così degli operai che vanno a manifestare, della tragica morte di Pier Paolo Pasolini e di quella non meno tragica del giudice Giovanni Falcone, della strage di Ustica, delle Fosse Ardeatine, delle Torri Gemelle, e di molti altri episodi, piccoli o grandi, che non possono e non devono essere dimenticati.
Dunque un’attività compositiva che abbraccia tutto l’arco di una vita, basandosi sempre sulla volontà di parlare e raccontare la realtà; quelle che cambiano sono le modalità compositive, inizialmente più semplici e immediate per divenire poi sempre più complesse.